La transizione digitale degli studi legali

Sommario

Questo articolo analizza il rapporto tra avvocati e innovazione tecnologica, mettendo in luce come la resistenza al cambiamento negli studi legali sia più culturale che tecnica. Il testo esplora le principali paure legate alla digitalizzazione, come la perdita di controllo, il timore di essere sostituiti e la difficoltà di riconfigurare i modelli organizzativi tradizionali.

Vengono presentati esempi concreti di studi internazionali che hanno già integrato con successo soluzioni di intelligenza artificiale nei propri processi, dimostrando come la tecnologia possa migliorare la qualità del lavoro, ridurre gli errori e liberare tempo per attività a maggiore valore strategico. Ampio spazio è dedicato al ruolo delle nuove generazioni di avvocati, sempre più orientate all’uso di strumenti digitali e a modelli operativi flessibili, e al confronto con i professionisti senior.

L’articolo evidenzia come l’evoluzione della professione forense non consista nella sostituzione della competenza umana, ma nella sua amplificazione attraverso la tecnologia, offrendo una visione chiara di come gli studi legali possano affrontare con successo la transizione digitale.

La transizione digitale negli studi legali è un processo reale, già in corso, che sta modificando in profondità il modo in cui il diritto viene esercitato ogni giorno in ogni parte del mondo. Gli studi che continuano a considerarla come una semplice opzione per il futuro rischiano di trovarsi in ritardo sulla concorrenza non per mancanza di competenze giuridiche, bensì per banali rigidità organizzative, lentezza decisionale e scarsa capacità di ripensare i propri flussi di lavoro.

Sempre più realtà legali, lo abbiamo spiegato spesso, stanno integrando o hanno già integrato al loro interno una profonda rete di strumenti di intelligenza artificiale per automatizzare attività ripetitive, aumentare la qualità delle analisi, ridurre i tempi di lavoro e liberare energie professionali su ciò che conta davvero. In questo contesto dove ancora regna la confusione, Lanpartners affianca gli studi legali con servizi di consulenza digitale progettati su misura, aiutandoli a costruire architetture tecnologiche sicure, selezionare gli strumenti più adatti, integrare l’IA nei processi esistenti e accompagnare il cambiamento organizzativo senza inficiare sull’operatività quotidiana.

Simon Ridpath, Managing Partner di Charles Russell Speechlys, ha descritto con chiarezza la portata di questo fenomeno affermando che si tratta di una trasformazione che coinvolgerà i prossimi 10 anni, in grado di avanzare a una velocità mai vista nelle generazioni precedenti. 

Non si tratta quindi di un semplice aggiornamento del metodo lavorativo, ma di una trasformazione destinata a ridisegnare il DNA stesso della professione. Eppure, la transizione digitale negli studi legali continua a incontrare resistenze forti, spesso invisibili, radicate nelle abitudini, nei modelli economici e in una cultura professionale che fatica ad accettare l’idea di cambiare.

Una trasformazione generazionale irreversibile

La transizione digitale negli studi legali non ha nulla di episodico. Non è la rincorsa ad una moda tecnologica, né una parentesi momentanea nei decennali modelli lavorativi, ma un vero e proprio cambio di paradigma generazionale che sta toccando direttamente il modo in cui gli studi si organizzano, prendono decisioni, distribuiscono responsabilità e gestiscono il tempo.

Il commento di Ridpath mette infatti in evidenza due fattori chiave: la durata del cambiamento e la sua velocità. Parliamo di un orizzonte di almeno dieci anni e di un’accelerazione che rende irriconoscibile e inutile il confronto con il passato recente della professione legale.

Secondo alcuni report di mercato, il settore del legal tech cresce infatti a ritmi costanti e continuerà a crescere nel prossimo futuro, spinto da soluzioni basate su intelligenza artificiale e automazione. La pressione sui costi, unita all’aumento delle aspettative dei clienti, sta costringendo gli studi a rimettere in discussione routine consolidate.

Le realtà che emergeranno rafforzate da questo processo saranno quindi strutturalmente diverse nei flussi di lavoro, nella gestione delle informazioni e nei modelli interni di collaborazione.

Tecnologie che guidano il cambiamento

Il cambio di paradigma deve essere prima di tutto umano, a livello di concezione del lavoro e progettualità nel lungo periodo, ma rimane il fatto che al centro della transizione digitale ci sono tecnologie concrete, già oggi operative in molti contesti.

I Large Language Models, ad esempio, consentono di generare testi, supportare la stesura di documenti complessi, sintetizzare normative e costruire prime bozze di contratti e memo. Come evidenziato da Forbes, i LLM stanno diventando sempre più potenti e flessibili, capaci di generare bozze di contratti o rispondere a domande legali.

L’automazione dei contratti, attraverso strumenti di contract intelligence, permette invece di analizzare e revisionare documentazione legale in tempi sensibilmente inferiori rispetto al passato. Alcune analisi pubblicate anche su piattaforme come LinkedIn, e dunque stilate da chi materialmente utilizza questi tool ogni giorno a livello lavorativo, mostrano riduzioni dei tempi di revisione che arrivano fino a circa l’80%.

I sistemi di gestione documentale e di workflow, allo stesso tempo, automatizzano la ricerca legale, l’organizzazione delle knowledge base e la collaborazione tra team. L’analisi predittiva e il risk scoring supportano la valutazione dei rischi, l’anticipazione di esiti e la costruzione di strategie più informate.

Il punto però non è la tecnologia in sé, ma il suo effetto pratico di ridurre la parte meccanica del lavoro e restituire centralità al giudizio, all’esperienza e alla strategia. Qui si gioca la vera transizione digitale negli studi legali.

Il freno culturale nel settore legale

La transizione digitale negli studi legali, seppur inevitabile, rischia tuttavia di subire rallentamenti dovuti a croniche resistenze culturali. Il modello della tariffa oraria, ad esempio, continua a dominare nei maggiori studi legali, creando un cortocircuito facile da intuire: se la tecnologia rende il lavoro più veloce, il tempo fatturabile diminuisce. E, in molti casi, diminuisce anche il fatturato.

L’inefficienza, paradossalmente, diventa una forma di garanzia economica, ed è proprio a questo livello che è necessario ripensare l’intero sistema. Molti professionisti senior, infatti, si sono formati in un sistema che premia il numero di ore, non la capacità di ottimizzare i processi. In questo contesto, la tecnologia viene vista come un rischio, non come uno strumento di crescita.

La resistenza, quindi, non riguarda solo la competenza tecnica e l’eventuale e possibile discrepanza tra IA e hardware aziendali. Riguarda l’identità professionale, il modello mentale e l’idea stessa di valore.

Il conflitto economico: efficienza vs ricavo nella transizione digitale

La transizione digitale negli studi legali obbliga a una domanda scomoda ma necessaria: se il lavoro richiede meno tempo, come si preserva la sostenibilità economica?

Sempre più studi, in questo senso, stanno sperimentando modelli di tariffazione alternativi come flat fee, compensi basati sul valore e formule ibride che cercano di legare il compenso al risultato, non alle ore.  Ad esempio, secondo un rapporto di Computerworld, molte attività automatizzabili saranno spostate verso tariffe fisse, lasciando le ore orarie per la revisione umana.

Allo stesso tempo, stando a un articolo di Thomson Reuters, molte firme vedono nella tecnologia un modo per migliorare il benessere interno, attrarre talenti e posizionarsi meglio sul mercato.

Il vero nodo non è quindi di natura tecnica, ma strategica. Forbes, in un altro articolo, sostiene che il vero limite all’innovazione non sia tanto la tariffa oraria, ma la regolamentazione professionale. Ripensare quindi sia alla struttura dei compensi che ai metodi lavorativi diventa una condizione necessaria perché la transizione digitale negli studi legali sia accettata sia dalle nuove generazioni di avvocati sia dalle figure più esperte.

Esempi reali di superamento della resistenza

La transizione digitale negli studi legali è già perfettamente realizzabile se affrontata con metodo, visione e coraggio decisionale. Il caso di A&O Shearman rappresenta uno degli esempi più concreti di questo passaggio. In collaborazione con la startup Harvey, lo studio ha sviluppato soluzioni di intelligenza artificiale capaci di intervenire in attività che, fino a pochi anni fa, venivano considerate esclusive dell’esperienza umana.

Gli strumenti costruiti insieme a Harvey vengono utilizzati per supportare l’analisi di grandi volumi di dati finanziari, per la revisione avanzata della documentazione in operazioni di fusione transnazionale e per la preparazione di materiali complessi destinati a contesti ad alta criticità. Non sono semplici automatismi, ma sistemi progettati per affiancare il professionista nelle fasi più delicate del lavoro, riducendo il margine di errore umano e aumentando il livello di controllo sulle informazioni.

Secondo il Financial Times, la logica che ha guidato questo investimento non è stata quella di trasformare la velocità nel parametro principale di valore, ma di innalzare la qualità complessiva del lavoro. Il tempo guadagnato non viene utilizzato per “fare di più”, ma per pensare meglio, per affinare le strategie e per aumentare la precisione delle decisioni. È qui che la transizione digitale negli studi legali mostra il suo vero potenziale come moltiplicatore dell’intelligenza professionale.

L’esperienza di A&O Shearman mette in evidenza un punto spesso sottovalutato. La tecnologia non sottrae centralità alla competenza, ma al contrario la rende più visibile. Non indebolisce il ruolo dell’avvocato, lo rafforza. Quando l’automazione si occupa delle parti più ripetitive e meccaniche, il professionista può concentrarsi sulle aree dove il giudizio, l’intuizione e la responsabilità non possono essere delegate.

Generazioni a confronto: il ruolo dei giovani avvocati

La spinta più autentica alla transizione digitale negli studi legali arriva spesso dalle nuove generazioni. I giovani avvocati, cresciuti in un ecosistema digitale naturale, non percepiscono la tecnologia come una minaccia, ma come un’estensione delle proprie capacità professionali. Per loro, l’accesso immediato alle informazioni, l’automazione dei passaggi ripetitivi e l’uso di strumenti intelligenti rappresentano una condizione di lavoro auspicabile, non un’eccezione alla regola.

Questa distanza culturale crea un contrasto evidente con i modelli tradizionali, ma apre anche uno spazio fertile di trasformazione. I giovani professionisti desiderano crescere più rapidamente, acquisire competenze trasversali e operare in contesti che valorizzino l’efficienza mentale e organizzativa. È da questa tensione che nasce una nuova leadership, meno legata alla seniority formale e più orientata alla competenza reale.

Quando gli studi decidono di ascoltare questa spinta, la transizione smette di essere imposta dall’alto e diventa un processo organico e naturale. La presenza di “campioni interni” dell’innovazione, programmi di formazione mirati e percorsi di carriera più flessibili contribuisce a trasformare il potenziale generazionale in un vero vantaggio competitivo.

Rischi e sfide da affrontare nella transizione digitale

La transizione digitale negli studi legali porta con sé anche rischi reali. L’IA può infatti commettere errori e generare contenuti imprecisi. Anche la sicurezza dei dati e la riservatezza rappresentano temi critici, con regolamentazioni che evolvono rapidamente e obbligano gli studi a definire policy chiare.

  1. Rischi tecnologici: l’IA non è infallibile. Ci sono problemi di accuratezza (es. “hallucinations”), bias nei modelli, e questioni di sicurezza e riservatezza che devono essere gestite con attenzione.
  2. Regolamentazione ed etica: gli studi devono affrontare un quadro normativo in evoluzione e garantire un uso responsabile dell’IA, definendo policy chiare e linee guida per il suo impiego professionale.
  3. Cambiamento organizzativo: l’introduzione di tecnologia richiede più che l’acquisto di software: serve ripensare processi, ruoli, flussi di lavoro, formazione continua.
  4. Resistenza interna: la “vecchia guardia” può rallentare l’adozione, e senza incentivi adeguati, il cambiamento rimane marginale.
  5. Rischio strategico: chi investe male nella tecnologia può sprecare risorse; chi non investe rischia di restare indietro nel lungo termine.

Affrontare questi rischi significa pianificare in modo consapevole, adottare un approccio graduale e strutturato, e avere leadership pronti a guidare il cambiamento.

Come guidare una transizione digitale efficace

Per rendere sostenibile la transizione digitale negli studi legali servono visione di lungo periodo, programmi di formazione strutturati e modelli di remunerazione più coerenti con il valore prodotto. Servono figure interne capaci di fare da ponte tra tecnologia e professionisti,  regole chiare sull’uso dell’IA e, se necessario, il supporto di consulenti esterni capaci di guidare il cambiamento.

Lanpartners affianca gli studi legali proprio in questo punto critico: dalla progettazione dell’architettura tecnologica alla gestione del cambiamento culturale, aiutandoli a non subire la trasformazione, ma a guidarla.

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